ATTI
DEL CONVEGNO
QUALCHE NUMERO SU CUI
RIFLETTERE
INTRODUZIONE di PAOLO
MARTINELLI
“Insieme per una alleanza
educativa”
Traccia dell’intervento di don Nicolò Anselmi
Cultura ed educazione alla
legalità di Realino Marra
www.lighthousegenova12.org |
20 MARZO 2010 Ore 9.15 – 13.00 Aula Magna Liceo D’Oria Via A. Diaz,
8 GENOVA |
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ASSOCIAZIONE LIGHTHOUSE GENOVA 12E’
una libera cooperazione tra persone
di diversa provenienza lavorativa, con diversi percorsi di vita, che
condividono un’etica comune di
Servizio con l’obbiettivo di
favorire la crescita e lo sviluppo dell’Approccio Ecologico-Sociale, nei
più diversi ambiti, civili e sociali. CONVEGNO PER IL RECUPERO DI UNA SOCIETA’ EDUCANTE l’importanza
delle Associazioni, dei cittadini e delle loro famiglie |
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QUALCHE NUMERO SU CUI RIFLETTERE
(tratto dal rapporto 2008
dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale Tossicodipendenze)
Consumo EROINA in Liguria
2,4% (24 mila persone) ha sperimentato eroina
15/24 anni fascia di età di maggior consumo
Tra gli studenti utilizzo più frequente a 17 anni (ragazzi)
e 16 anni (ragazze)
Consumo COCAINA in Liguria
6,4% (64 mila persone) ha sperimentato cocaina
15/34 anni fascia di maggior consumo
Tra gli studenti utilizzo più frequente a 19 anni
Consumo di STIMOLANTI (anfetamine, ecstasy ecc.)
4,2% (42 mila persone) ha sperimentato stimolanti
Consumo di ALLUCINOGENI
3% (30 mila persone) ha sperimentato allucinogeni
Consumo di CANNABIS
31,3% (312 mila persone) ha sperimentato cannabis
15/34 anni fascia di maggior consumo
Tra gli studenti utilizzo più frequente a 18 anni
Consumo di FARMACI PSICOATTIVI per attenzione, iperattività o diete (tra gli
studenti)
16% ha sperimentato farmaci psicoattivi in generale
12,3% ha sperimentato farmaci per dormire
4% ha sperimentato farmaci per l’ansia (dato leggermente più
alto rispetto al resto d’Italia)
Consumo di ALCOL
83% della popolazione ligure ha consumato alcolici nel 2008
Prevalgono consumatori uomini in tutte le fasce d’età ad
eccezione della fascia 15/24 nella quale prevale il consumo tra le donne
SPUNTI DI RIFLESSIONE
La
frequentazione di discoteche e locali notturni è stata associata
all’aumento del consumo di cocaina
Quasi il 10%
dei giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni che ha frequentato una
discoteca quattro o più volte durante l’ultimo mese riferisce di aver fatto uso
di cocaina
Il 15%
dei giovani tra i 15 e i 24 anni non percepisce il consumo di cocaina
come un rischio per la salute personale
(Indagine
2008 dell’Eurobarometro condotta presso i 27 stati membri dell’Ue)
L’alcol,
che è causa di almeno 24 mila decessi l’anno, rappresenta un’altissima
percentuale di morte tra i giovani
Il numero
dei giovani alcoldipendenti in particolare risulta in costante aumento
750
mila sono gli
adolescenti italiani a rischio di abuso di alcol
(Rapporto
Italia 2010 Eurispes)
In forte
aumento il numero delle ubriacature tra i giovani (binge drinking)
(Fonte European School Project on alcohol
and other drugs- Espad 2009)
Le morti
associate ai danni da consumo di alcol rappresentano il 52% di tutti i decessi
nella fascia di età 15/54 anni
(The
Lancet giugno 2009)
Il 31%
dei giovani di 11 anni consuma giornalmente alcol, percentuale che sale
al 70% se si va a considerare nella stessa fascia di età chi consuma
alcol nell’anno
(Istat)
L’Italia
detiene il primato del più precoce contatto con i drink: 12,5 anni
contro i 14,6 della media europea
(Ocse)
La
percentuale delle persone fermate per guida in stato di ebbrezza è in costante
aumento: 16 mila casi nel 2001; 30 mila casi nel 2008. Di questi
la maggior parte sono giovani entro i 30 anni
(Polizia
di Stato)
INTRODUZIONE di
PAOLO MARTINELLI
presidente di Lhg 12 (Lighthouse
genova 12)
Leggendo il titolo di questa tavola rotonda, qualcuno avrà
pensato che questa nostra piccola associazione esageri quando osa concepire un “progetto” per il
recupero di una società educante. Ma credo che proprio gli interventi nella
tavola rotonda daranno la chiave per intendere questa proposizione in modo
giusto: perché non vi è altro modo di educare se non quello di mettersi in
discussione accanto agli altri, e di cercare insieme di dar vita ad un circuito
di responsabilità e mutuo riconoscimento, un circuito che è educante perché
ciascuno si pone come parte consapevole e pienamente corresponsabile. Cosicché
si educa educandosi e si impara facendo.
Educazione come condivisione del rischio, dunque: del
rischio della libertà, che il Pontefice ha indicato come rischio non evitabile.
Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono
piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e
prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente
l'accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove
i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della
formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile
possibilità di accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e
quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in
proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono
semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una,
spesso sofferta, scelta personale.
Se l’educazione richiede una condivisione di speranza
(ancora il Pontefice osserva che anima
dell'educazione, come dell'intera vita, può essere solo una speranza
affidabile) è vero (per credenti e non credenti) che talvolta la speranza
si coglie alla fine di un percorso, spesso doloroso e a volte tragico, di
esercizio di libertà (anche) distruttive. Rischio non evitabile, dunque, ma che
è necessario condividere per poter condividere poi il fiorire delicato della
speranza.
Ma qui la lettera che il Pontefice ha indirizzato ai fedeli
(e che io ho letto con grande attenzione come non credente) unisce al
sostantivo speranza un aggettivo che ci interpella tutti, e che vorremmo porre
al centro anche di questa nostra tavola rotonda: l’aggettivo affidabile.
Perché la speranza è individuale, ma l’affidabilità è invece
un processo collettivo, che richiede presenze e condivisioni. Processi
collettivi che non si possono far vivere da soli, e che richiedono risposte
sociali condivise. Ecco il ruolo delle associazioni, nel recupero di una
società educante. Essere luoghi vicini, che rendono affidabili le speranze dei
singoli, perché le associazioni le accolgono e le sostengono, le condividono e
le difendono.
Questo è il progetto di Lhg12, come di tutte le altre
associazioni con le quali speriamo di poter collaborare. Ed è a questa
condivisione che dedicheremo tutti gli interventi della tavola rotonda.
PER il RECUPERO di UNA SOCIETA’
EDUCANTE
l’importanza delle Associazioni,
dei cittadini e delle loro famiglie
Genova,
20 marzo 2010
“Insieme per una alleanza
educativa”
Traccia dell’intervento di don
Nicolò Anselmi
In primo luogo desidero ringraziare per l’invito. Sono
davvero contento di poter dire qualcosa ed insieme ascoltare idee,
suggerimenti, esperienze e stimoli su questo tema; l’impegno educativo
coinvolge tutti, ogni aspetto della società e quindi anche la chiesa che nella
società vive.
Come forse qualcuno sa la Chiesa che è in Italia si appresta
ad approvare, nella prossima Assemblea Generale di tutti i Vescovi, che si
terrà a Roma a fine maggio, un documento che orienterà per i prossimi 10 anni,
dal 2010 al 2020, l’azione delle varie associazioni, parrocchie, gruppi,
scuole, movimenti, oratori nella direzione di un impegno educativo.
Una spinta decisiva nella scelta del grande tema
dell’educazione è stata data dal discorso che il Papa Benedetto XVI ha rivolto
al clero ed alla città di Roma nel gennaio 2008; in quel discorso il Papa ha
usato l’espressione “emergenza educativa”, una definizione poi ampiamente
ripresa dai media e da tanta letteratura.
In calce ho riportato alcuni brani del discorso del Papa che
ho appena citato: si tratta di parole forti e coinvolgenti.
Che la società di oggi abbia bisogno di una rinnovata
attenzione ai più giovani è comunque sotto gli occhi di tutti…
A questo punto vorrei provare, con umiltà, a fare alcune
considerazioni che potrebbero indicare alcune piste percorribili.
Gli adulti
La prima considerazione che vorrei fare è che la relazione
educativa è comunque una relazione asimmetrica, in cui l’adulto ha un ruolo
determinante .
Il primo responsabile del fatto educativo è infatti
l’adulto, chiamato ad una testimonianza di una vita ragionevolmente felice;
negli Esercizi Spirituali Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti,
parla di “salud”, di salute, cioè di una vita sostanzialmente sana.
Ho usato la parola “testimonianza” che in fondo è un
sinonimo dell’espressione “buon esempio”.
Non vi è dubbio che per testimoniare qualcosa l'adulto è
chiamato prima di tutto a vivere un'esistenza sana e piena di senso; gli adulti
devono già aver sostanzialmente risposto alle grandi domande ed alle questioni
della propria esistenza.
La relazione adulto-giovane
Con i termini “buon esempio” e “vita sana” intendo anche
raccogliere l’idea di buona e sana relazione fra l’adulto e il giovane.
La qualità della relazione, di un rapporto adulto giovane è
definita da molti fattori: dialogo, fiducia, valori; vorrei semplicemente
portare alla nostra attenzione il fattore “tempo”.
La relazione educativa, l’amore, hanno bisogno di tempo ed
oggi ne abbiamo pochissimo.
Il tempo è senza dubbio la cosa più preziosa che possediamo
e fatichiamo a donarlo ai nostri giovani.
La gestione del tempo è, per la nostra società, una
questione centrale.
L’alleanza educativa
Il semplice rapporto fra un singolo adulto ed un singolo
giovane non riesce ad esaurire il fatto educativo.
Nella stessa famiglia, la presenza di due figure e non di
una sola, del papà e della mamma garantisce una complementarietà che è
ricchezza per i figli.
L’esperienza di tutti noi ci suggerisce che abbiamo ricevuto
buoni esempi da una molteplicità di persone: nonni, insegnanti, allenatori,
professionisti, personaggi del mondo della cultura, della letteratura del
cinema, etc.
Un’alleanza educativa e coerente fra numerose figure adulte
permetterebbe alla libertà dei ragazzi di essere arricchita in modo vario,
migliore e più completo.
Tutti oggi sono convinti che sia necessaria una alleanza
educativa; tutti avvertiamo che se papà e mamma non sono d’accordo, non sono
alleati fra loro, nel cuore del giovane si scatenano dinamiche devastanti;
comincia la non chiarezza, il doppio gioco…
Situazioni analoghe si verificano quando famiglia e scuola
mandano messaggi educativi diversi.
Se da un certo punto di vista tutti sono convinti
dell’importanza delle alleanze educative, molto meno evidente è l’impegno
concreto a realizzarle.
A questo punto spesso ci imbattiamo nella incapacità del
mondo adulto di dialogare, di parlarsi, di ragionare, di mettersi in gioco. Un
certo individualismo inconsapevole ha il sopravvento.
I luoghi del dialogo, del confronto comunitario risultano
essere necessari; dalle associazioni, ai consigli di classe, dai gruppi di
ricerca ai consigli pastorali, dai circoli culturali ai gruppi di auto aiuto.
Il sostegno delle figure adulte
Non vi è dubbio che alcune persone abbiano nei confronti dei
giovani delle responsabilità più grandi di altre; i genitori innanzitutto ed
anche gli insegnanti, per la situazione ed il grande numero di ore che stanno a
contatto con i ragazzi, mi sembra siano oggi in prima linea, esposti ad una
grande fatica educativa.
La società, cioè noi, è chiamata a sostenerli in tutti i
modi possibili; la dimensione comunitaria e sociale della vita, il fatto stesso
che gli adulti abbiano la possibilità di vivere in modo non isolato ma in una
rete di dialogo e di mutuo scambio, nella condivisione di difficoltà e di
traguardi, costituisce per l'adulto un grande sostegno.
La responsabilità dei giovani stessi
Nella relazione educativa sono presenti come soggetti e non
come puri destinatari anche i giovani.
Nei loro cuori, dettata dalla loro stessa situazione
anagrafica, abita comunque sempre una speranza, uno sguardo fiducioso verso il
futuro, un desiderio di felicità.
I giovani, protagonisti dell’opera educativa, chiedono di
essere quindi ascoltati; è importante lasciare loro spazio, saperli attendere,
avere pazienza, capacità di offrire loro nuove opportunità.
La società italiana non sembra oggi concedere molto spazio
ai giovani, né dal punto di vista genericamente esistenziale né dal punto di
vista lavorativo, professionale, politico.
Molti giovani faticano ad emergere; sembra quasi che i
padri, in un certo senso, stiano inconsapevolmente rendendo la vita difficile
ai loro figli.
I giovani hanno bisogno di sperimentare concretamente, di
vedere realizzati, incarnati i valori annunciati. Si tratta qui di saper
offrire ai giovani delle alternative vere e normalmente percorribili alle
proposte alienanti e distruttive di oggi.
Le relazioni fra pari e l’autoeducazione.
Sempre a proposito della responsabilità dei giovani, ritengo
di dover spendere una parola sull’importanza dell’educazione fra pari: gli
amici sono una grande occasione di crescita.
Un discorso analogo penso valga anche per gli adulti; le
relazioni “sane”, gratuite, fra persone
di pari età , le amicizie vere e sincere sono oggi spesso una merce davvero
rara.
I rapporti di amicizia fra pari, le esperienze comunitarie
di svago, sportive e nella natura, di servizio, di solidarietà sono tutti
ingredienti importanti di un impegno di autoeducazione permanente.
Conclusione
Concluderei dicendo che l’avventura educativa che in fondo è
un’esperienza d’amore fra generazioni, rimane comunque una delle esperienze più
entusiasmanti della nostra vita.
Educare in fondo è generare, ha in sé la stessa dinamica del
parto: la stessa sofferenza delle doglie e l’immensa gioia di aver dato la luce
ad una persona.
Don
Nicolò Anselmi
Brani
tratti dalla
Lettera
del Santo Padre Benedetto XVI alla diocesi e alla città di Roma sul compito
urgente dell’educazione
21
gennaio 2008
(…..)Educare
però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo
sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno
dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande "emergenza
educativa", confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro
i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri
e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le
nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli
che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una "frattura fra le
generazioni", che certamente esiste e pesa, ma che è l'effetto, piuttosto
che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori. (………..)
Dobbiamo
dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di
educare? E' forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in
genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio
di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad
essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità
personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere
nascoste, ma anche un'atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura
che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso
della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa
difficile, allora, trasmettere da una generazione all'altra qualcosa di valido
e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali
costruire la propria vita. (……..)
A
differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di
oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della formazione e
della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di
accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna
persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue
decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente
essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso
sofferta, scelta personale.
Quando
però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze essenziali, il
bisogno di quei valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in
concreto, aumenta oggi la domanda di un'educazione che sia davvero tale. La
chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri
figli; la chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del
degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede
messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo
gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte
alle sfide della vita. (…….)
La
responsabilità è in primo luogo personale, ma c'è anche una responsabilità che
condividiamo insieme, come cittadini di una stessa città e di una nazione, come
membri della famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e
membri della Chiesa. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli
orientamenti complessivi della società in cui viviamo, e l'immagine che essa dà
di se stessa attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande influsso
sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche per il
male. La società però non è un'astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti
insieme, con gli orientamenti, le regole e i rappresentanti che ci diamo,
sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C'è bisogno
dunque del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo
sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma,
diventi un ambiente più favorevole all'educazione. (…)
Cultura
ed educazione alla legalità
20
marzo 2010
Nella
teoria e nella storiografia delle attività e delle pratiche educative vi sono
due modi di intendere “educazione”. La prima definizione è più ampia, ed è
anche quella che a mio parere descrive meglio la realtà storica di questa
vicenda. Per essa sotto l’etichetta educazione vanno ricomprese tutte le
pratiche che hanno come obiettivo la trasformazione di individui in membri di
una collettività più o meno grande. Quindi educazione come, in sostanza,
l’insieme delle pratiche di socializzazione.
Nel
senso più ristretto “educazione” tende invece a coincidere con un apparato
istituzionale particolare, volto a trasferire conoscenze e ad addestrare a
competenze e abilità specifiche. In quest’accezione più circoscritta educazione
corrisponde evidentemente a istruzione scolastica e universitaria.
Ora, è
chiaro come questa seconda definizione isoli un processo storico molto
importante, come è lo sviluppo degli Stati nazionali, con il forte impulso che
questi hanno dato all’estensione dei meccanismi educativi.
Ma
appunto con una definizione di questo tipo si tende da un lato a sottostimare
la realtà precedente in cui l’educazione era affidata prevalentemente a
istituzioni diverse, e dall’altro anche per la nostra contemporaneità mette
sullo sfondo vecchie e nuove modalità di socializzazione.
Ciò
nonostante la teoria sociale tende ad occuparsi prevalentemente di scuola. E
non solo. Dopo la seconda guerra mondiale il sistema scolastico è stato
considerato da una prospettiva assolutamente prevalente; certo importante, ma
che non può assolutamente essere esclusiva: vale a dire il contributo della
scuola a favorire rapporti sociali più uguali.
Questo
ha generato un approccio di tipo sostanzialmente quantitativo al problema
dell’educazione pubblica, considerata come una funzione misurabile, da
potenziare, correggere, migliorare. Contemporaneamente dimenticando o
sottovalutando questioni più importanti: l’organizzazione dei sistemi educativi
(centralizzata o decentrata), i contenuti rispetto al mondo del lavoro
(istruzione tecnica o istruzione generica), la posizione dello Stato nei
confronti dell’istruzione privata, e molto altro ancora. Posto che la scuola,
per quanto non da sola, come ho detto, è l’istituzione fondamentale per
l’educazione e la formazione intellettuale all’interno d’una comunità politica,
si tratta di capire concretamente come, con quali modalità, con quale
orientamento scientifico e pedagogico assolva queste funzioni.
Se
questo è vero (e io credo che lo sia), considero allora con sconcerto il fatto
che i decreti attuativi della riforma della scuola abbiano occupato i media per
non più di un giorno o due. Non sarà la riforma epocale di cui parla il
Ministro, ma certo essa è un fatto di grande rilievo.
Qual
sono in realtà le idee che la sostengono? Al di là degli obiettivi finanziari,
più o meno evidenti, che emergono soprattutto dalla riduzione del monte ore
settimanale, direi: fine della sperimentazione, drastica riduzione degli
indirizzi, profili tendenzialmente unitari o poco differenziati per le materie.
In una frase: sostanziale ritorno all’antico, alla divisione della riforma
Gentile: da una parte la scuola umanistica e dall’altra la scuola
tecnica-professionale. Dubito molto che ciò corrisponda realmente alle sfide
che ci pone il presente.
Sul
tema della legalità. Quando si usa questo termine si fa riferimento rettamente
ad una qualche idea di conformità alla legge, e propriamente di conformità al
diritto. Si pensa dunque a qualcosa che riguarda direttamente il potere dello
Stato. E su questa base si tende però a fare un passo ulteriore. Se per
l’educazione in generale pare più agevolmente accettabile un concetto ampio di
pratiche e finalità educative, sull’educazione alla legalità sembrerebbe al
contrario conforme alla natura delle cose un’educazione specifica, che ha per
oggetto la fedeltà alle istituzioni, e che dunque è normale sia propria e
perfino esclusiva dello Stato.
Le cose
in realtà non stanno in questi termini. Farò un breve riferimento ad un’analisi
famosa, la sociologia del potere di Max Weber. Il potere per Weber è
un’autorità che si manifesta con comandi espliciti, e a questi comandi
corrisponde almeno un minimo di volontà di ubbidire da parte di un gruppo più o
meno grande di destinatari. I motivi della disposizione alla ubbidienza possono
essere i più vari: il costume, la cieca abitudine, degli interessi. Sennonché
se i motivi fossero soltanto questi, le relazioni di potere tenderebbero ad
essere poco stabili. In genere perciò il potere cerca di fondarsi su qualcosa
di più solido: cerca di promuovere e mantenere in vita la credenza dei dominati
nella sua legittimità. Il tipo più importante di potere-comando è dunque il
potere legittimo, un potere che si estrinseca con comandi espliciti, e che
viene obbedito principalmente perché riesce a stimolare una credenza
ragionevolmente diffusa nella legittimità, per qualche motivo, della sua
autorità.
Ecco:
la forma corrente di legittimità, almeno nello Stato di diritto dopo la
rivoluzione francese, è la credenza nella legalità, cioè la disposizione a
ubbidire a norme formalmente corrette, e poste secondo modalità stabilite in
precedenza. Non si ubbidisce alla persona, in virtù di un suo diritto
personale, bensì alla regola statuita, al diritto. Si ottemperano le
prescrizioni per il fatto che provengono da organi che hanno il diritto di
comando in conformità a procedure predefinite.
Questo
tipo di potere è appunto il potere legale, il potere che si fonda sulla
credenza nella legalità delle prescrizioni. E anzi, propriamente, è più
corretto definirlo come razionale-legale, laddove la razionalità discende
direttamente dalla legalità. Esso infatti rappresenta la forma di dominazione
più razionale di tutte. E si comprende il perché: evita rinegoziazioni
continue, dunque è più capace di neutralizzare i conflitti, è relativamente
svincolata tanto da un consenso materiale quanto da imperativi di unanimità.
Se
questo è vero, e io credo sia vero, la educazione alla legalità non solo non
può essere rubricata come uno dei tanti compiti dello Stato, che dovrebbe
occuparsi anche, tra le altre cose, di incentivare la fedeltà alle sue
istituzioni e al suo diritto, affidandosi alla scuola, e poi alle cerimonie,
alle feste, alle onorificenze, e così via. Ci rendiamo conto come lo Stato di
diritto e le sue istituzioni giuridiche dipendano nella loro esistenza e nel
loro durare dalla solidità di una cultura della legalità diffusa.
Essa
dunque non è qualcosa di cui sia depositario il vertice della comunità
politica, ma è un orientamento che dovrebbe sorgere e potenziarsi, come del
resto tutti i fenomeni di legittimità, nella comunicazione tra potere e
cittadini
Io
penso che lo sviluppo del nostro paese dimostri purtroppo come la cultura della
legalità non sia un ancora risultato stabile, saldo, acquisito di questa
comunicazione. In tanti frangenti della nostra storia, anche recente, sembra
essere piuttosto un’etichetta che ci siamo disinvoltamente attribuiti per
assimilazione alle vicende dello Stato di diritto post-rivoluzionario. Ma che
in realtà i contenuti e le modalità di comunicazione tra cultura del potere e
cultura della legittimità abbiano caratteristiche concrete piuttosto lontane da
questa immagine ideale.